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I
mestieri di una volta, prima puntata. I CARRETTIERI(i caretèr)di Iginio Bottani “a chi ha vissuto in un certo mondo l’impareggiabile possibilità di riassaporare colori, sensazioni e suoni lontani; e a chi non l’ha vissuto dar modo di incontrare e di capire , e , perché no, amare, figure che sono parte della nostra storia, quella vera, quella di tutti i giorni”. Nella
mia ahimè lontana fanciullezza ho avuto la ventura di abitare al
Serraglio, impareggiabile punto di osservazione di artistiche botteghe
artigiane, di personaggi caratteristici, di piccole grandi esperienze di
vita che facevano grandi le piccole cose, che rendevano umani e sensibili
anche i gesti più normali e più usuali, che rendevano pubblici anche le situazioni e i
sentimenti più intimi. La
“categoria” che più affascinava noi piccoli e che ancora oggi ha una
posizione privilegiata nei miei ricordi è quella dei
carrettieri. Si
trattava di personaggi particolari, di indubbia personalità e tempra
forgiata dal duro lavoro. Andavano fieri dei loro “mezzi”, costituiti da
carri con due ruote a raggi e cerchioni in
ferro, trainati da cavalli o muli che venivano usati per il trasporto di
cereali, legname, ghiaia, materiali di costruzione, uva, botti di vino,
ecc… Il
carro, di solito costruito da un falegname locale, veniva frequentemente
lavato e passato con olio di lino; i finimenti dei cavalli apparivano
tempestati di borchie di ottone, di fregi e di luccicanti sonagliere. Era
l’inconfondibile suono di queste e lo schioccare ritmato della frusta che
catturavano la curiosità e la fantasia di noi bambini. Molti erano i carri
che avevano alcuni “optional” come la “gimbarda”(un tavolo appeso sotto
il carro con quattro catene che fungeva da ripostiglio privato del
carrettiere); sul letto del carro vi era spesso uno sportellino con una cassa che
faceva da unità di misura della ghiaia da scaricare lungo le strade (i
magasìn). La
vita del carrettiere era costellata di grossi sacrifici: gente abituata a
vivere sulla strada, a sopportare disagi di ogni sorta, alzarsi di
buon’ora al mattino e spesso viaggiare anche di notte. Sole a picco,
vento, pioggia e fango erano spesso gli ingredienti del Tipica
era anche la divisa del carrettiere: non mancava mai il grande fazzoletto
appeso alla cintura e, alla bisogna, attorno al collo; in testa un
cappello di paglia a larghe falde d’estate, un tipico berretto d’inverno;
“tabar e umbrela” erano il suo
riparo dalle intemperie, una ampia coperta per il destriero.
Pur
essendo personaggi liberi ed originali formavano una “corporazione” che
spesso si dimostrava unita e solidale ed in varie occasioni anche molto
generosa : è da ricordare il generoso trasporto gratuito di sabbia, pietre
ed altro materiale nel
1923
per il costruendo “asilo infantile e lavoro femminile parrocchiale”
ubicato dove ora c’è il bar ACLI (dall’archivio
parrocchiale). Si
ritrovavano frequentemente nelle vecchie osterie sparse qua e là per le
polverose strade di campagna e questi incontri si trasformavano subito in
occasione per parlare dei problemi della categoria, per mangiare un
boccone e per bere qualche bicchiere di vino per sconfiggere l’arsura e la
polvere. Il breve relax serviva anche per far riposare e rifocillare i
cavalli ( appena ci si fermava il carrettiere tirava fuori dal carretto
“l’invoi”(=sacco di fieno) ed il capiente secchio da riempire di acqua
fresca. Dopo il breve riposo si ripartiva per altre 2-3 ore di cammino
alla velocità media di 4 Km orari. Nel nostro paese il ritrovo abituale
dei carrettieri era l’osteria di Luigi Carli(detto Luis) che si affacciava
su Via Marconi. Ma
quali erano le mete di quei lunghi e per noi bambini favolosi viaggi dei
carrettieri? Raggiungevano i paesi dell’Alto mantovano e dell’Oltrepo
oltre naturalmente il modenese ed il parmense per trasportare ogni genere
di merce: uva, legname, fascine per i forni ed i caseifici, ghiaia e
sabbia, granaglie, calce bianca. I carrettieri erano indispensabili anche
per i traslochi ( far San
Martin) e d’inverno per “far la
calada” : con 8-10 cavalli a trascinare lo spandineve (la trola) e liberare le strade (
un aiutante passava di corte in corte con fiaschi per fare rifornimento di
vino dagli agricoltori !). Il
signor Ernesto Gelati, figlio del mitico Carlun, ricorda un detto
significativo che illustra, come solo le espressioni dialettali sanno
fare, la durezza e gli stenti dei carrettieri : “i sold dal careter iè par ‘iost e i
staler; sac resta an palancun l’è par al frer e al
marangun”. I
più popolari carrettieri che le cronache buscoldesi annotano sono: Carli Luigi (detto Luis) ,Giuseppe Gelati (detto Carlun),Restelli Polluce, Trippini Armanno, Nadali Giocondo ed il figlio Rizieri(detti Verunesu), Manerba Ottorino (detto
Falabusa), i fratelli Luigi (detto Bigiu dal Puc) e Mentore Agosta ed il figlio Giuseppe (detto Balsamin o Pucìn)
che trasportavano prevalentemente granaglie dalle varie corti al mulino, i
fratelli Carlo e Giuseppe
Bielli col figlio adottivo Galli Ulderico ( detti i Biei),i Pilati: Demetrio ed i figli Francesco (detto al Breneru), Arturo e Anselmo i Giovanelli: Guerino (detto al
Negus),il fratello Cleante
(detto Gabanina) ed il figlio Tranquillo, Boselli Cesare. Va ricordato
anche il presidente della Lega dei carrettieri Fretta Adelelmo (detto al Barèr)
noto anche per possedere il buratto per selezionare le sementi e molti
torchi e per essersi convertito con successo all’autotrasporto alla fine degli anni ‘40
acquistando un FIAT 626. Terminava
così l’epopea dei carrettieri ed iniziava l’epoca dei moderni camionisti
che con i loro Doge, Chevroret, MG,
CMC, OM Taurus, TRE RO,
Lancia ESATAU ecc. sfrecciavano per le nostre strade. E’ doveroso ricordare anche i loro
nomi :Raffaldoni Adelelmo (detto Gnogula e famoso primo menalatte),
Raguzzoni Danilo, Bertolini Renzo(detto Singiùn o Bacàn), Ferrari Renzo(detto Marasùn) e
Bottani Giuseppe, Nervi Walter (detto Sgalmara),Sampietri Danilo, Gerola
Alessandro, Altinier Francesco, Donelli Guido(Bigièt), Vecchini
Cesare.
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