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Amarcord
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Pensieri e Parole
Storia di Buscoldo


I mestieri di una volta, seconda puntata.

I FALEGNAMI
(i marangun)

 

Iginio Bottani

 

a chi ha vissuto in un certo mondo l’impareggiabile possibilità di riassaporare colori, sensazioni e suoni lontani; e a chi non l’ha vissuto dar modo di incontrare e di capire , e , perché no, amare, figure che sono parte della nostra storia, quella vera, quella di tutti i giorni”. 

Nel precedente articolo affermavo che in forza di anagrafe io appartengo all'ultima generazione consapevolmente maceratasi nella cultura popolare così ricca di quel vivere semplice nei ritmi arcaici di impronta contadina, nella rigida stratificazione sociale, nell'austerità e sobrietà, discendente direttamente dall'Ottocento più che appartenente al ventesimo secolo. Ricordavo inoltre, non senza un certo orgoglio, di aver goduto del privilegio di venire alla luce e di viverci tutta la fanciullezza e la giovinezza al Serraglio di cui conservo tuttora una vivida memoria struggente, com'è per tutto ciò che è stato caro e sostanzialmente non è più.
Più che il Paese dei Balocchi per noi ragazzi quella borgata fu la nostra Via Pal, la nostra domestica Mompracem; i nostri giochi, le nostre avventure, i nostri sogni si svolgevano in un ambiente pulsante di vita attiva, di generale condivisione, soprattutto ricco di botteghe artigiane e di impareggiabili personaggi che le frequentavano.
Attingendo alla memoria rivedo con nostalgia le laboriose botteghe dei falegnami con quelle pittoresche figure dei "marangun" con tanto di grembiule e matita appoggiata al padiglione auricolare e che d'inverno diventavano luoghi di aggregazione per gli uomini che qui trascorrevano i pomeriggi forzatamente oziosi raccontandosi le loro vicende vissute.
Non c'era infatti borgata che non disponesse del suo "marangun", spesso in coppia col fabbro-maniscalco, al quale si ricorreva per i bisogni più disparati. Nelle famiglie degli agricoltori si conservavano piccole cataste di legname (noce, ciliegio, pero, quercia e pioppo) ottenuto dall'abbattimento di piante da rinnovare. In tal modo veniva assicurata la possibilità di ricavare mobili per la casa o per i nubendi di famiglia. Nelle corti più importanti c'era sempre un locale con il banco da lavoro, affinché il falegname (che in questi casi si trasformava in artigiano ambulante) potesse svolgere le immancabili riparazioni di infissi, carri ed attrezzi dell'azienda.
Nelle botteghe dei falegnami il lavoro non mancava. Venivano costruiti, oppure semplicemente rimessi in sesto, carri agricoli, gramole per spianare la pasta del pane, gli attrezzi della cantina, scanni e "soi" per il bucato, botti, mastelli, assi per la sfoglia, giochi e carriole. Queste ultime ebbero un mercato fiorente e "leggendario" allorché i terrazzieri furono chiamati a lavorare nella colossale opera di bonifica dei terreni paludosi.
Su ordinazione dei più abbienti si costruivano camere da letto, cassettoni
(i casabanch), credenze, madie, cantonali (stracantun), ecc.
Prese le misure del defunto, il marangun provvedeva a costruire anche la cassa funebre.
Nel nostro paese il legname era fornito prevalentemente dalla ditta Balzanelli, una autentica dinastia nel settore, fondata nel 1928 dai fratelli Luigi, Pietro e Giovanni e potenziata in seguito da Ennio (figlio di Luigi) e da suo figlio Luigi. Personaggio popolare era Giovanni (detto Peduls).

E' doveroso ora fare memoria dei più popolari marangun che le cronache buscoldesi annotano; erano autentici personaggi positivi, alcuni dei veri artisti.

In paese Facchi Achille col fratello Fioravante (Pacio) ed il nipote Galli Nearco, Ferrari Ettore, Reggioli Ermete (detto Gabàna) e Beccari Luigi (al Bacan);
al Serraglio Raffaldoni Agide (detto Bogna o Mandulin), Berzaghi Camillo e Castagna Cesare col nipote Vernizzi Gildo; ai Casotti Tosatti Vittorio (detto Lau); alla Madonnina Fioravanti Rainero; i Ronchi Panini Aldo (Boris); alla Galvana Cardinazzi Paolo (Paulun d'la Galvana) col nipote Lino Corniani.

(2 continua…)