Il viaggio continua "girando paesi e città”, come in una
recente canzone anni ‘60, e le scoperte sono state molte.
Una calda mattinata di sabato salendo in compagnia di amici
(Fabio e David) in un pueblo (piccolo villaggio) sulle montagne chiamato
Macascha, abbiamo incontrato sulla nostra stessa strada un bambino di nome
Carlos, sceso fino in città a comprare un pugno di farina per il pranzo
della sua famiglia ed un scatola di fiammiferi. Erano circa le 9:00 di
mattina ed il bambino stava gia´ rientrando a casa e la prima domanda che
ci siamo fatti: chissà a che ora era partito da casa. Provate ad
immaginare quantI anni aveva: ben 3 anni !! A quella età girovaga già per
le montagne da solo e con la responsabilitàdel cibo per la famiglia!! Alla
faccia della iper protezione familiare che c'e' lì da noi. L'abbiamo
accompagnato fino in prossimità della sua casa, ci ha salutato a lungo e
non avendo alcuna caramella gli ho allungato una piccola moneta di
riconoscenza per averci fatto da guida su quelle montagne da lui
conosciute come le sue tasche. La mia visita è proseguita qualche giorno
dopo in altri 3 pueblos (Jauna, Santa Rosa e Ututupampa) in compagnia di
Juan, l'infermiere della Parrocchia incaricato della “Pastoral para la
salud rural" (pastorale per la salute rurale) ed ho fatto una scoperta
molto interessante: la medicina che in occidente viene chiamata
alternativa in quei pueblos e' tuttora la medicina ufficiale. La cura con
le piante ed altri metodi naturali e' la cosiddetta medicina di base.
Pensate che ho assistito alla quasi completa guarigione di una artrite
utilizzando la urinologia (medicina alternativa la cui base principale
e'...indovinato?). Con estrema curiosità ho scoperto che questo metodo
naturale è utilizzato da secoli, appare efficace e sicuramente meno
costoso delle nostre medicine chimiche. Questa relazione continua (basata
ovviamente sul rapporto personale, visto che il telefono non esiste, e
nemmeno il cellulare, capito voi patiti del telefono senza fili ?) tra
l'infermiere della Parrocchia ed i responsabili della salute nelle oltre
20 comunità montane e' estremamente interessante, consentendo un
aggiornamento continuo delle singole terapie.
Al ritorno ci e' capitato
di incontrare una ragazza che era pronta a partorire, dopo vicende lunghe
da spiegare, siamo riusciti a portarla in ospedale, ricoverata alle 13.20
circa, ha partorito (abbiamo saputo il giorno dopo) alle ore 13.40;
inutile spiegarvi l'immensa gioia di questa nuova vita che possiamo dire
ci ha trovati casualmente coinvolti. La bimba di nome Isabel pesava alla
nascita circa 3,8 kg e vi confesso che era molto carina. La cosa negativa
in questa storia e' stata la presenza maschile o meglio la sua totale
assenza, dato che la ragazza e' stata abbandonato dal "suo uomo" segno di
un destino che in Perù è all'ordine del giorno.
Altra esperienza
interessante e' quella capitata in una scuola pubblica primaria di un
pueblo chiamato Tayapampa. Anche qui il rapporto Parrocchia/scuola e'
vissuto in maniera considerevole; il rapporto di animazione e' il pretesto
per entrare in sintonia con i bambini e proporre una pianta medicinale di
nome Paico, tanto utile al loro intestino quanto al nostro. Ebbene sì
anch' io, insieme con l'infermiere e tutte le professoresse, (tanto per
dare l'esempio) abbiamo dovuto ingurgitare la medicina. Il mio intestino
ha ringraziato a modo suo il giorno successivo. Con i bambini di questa
scuola ho instaurato una bella e simpatica relazione, la mia carnagione
chiara e la barba (e' dal mio arrivo in Perù che non l'ho tagliata) induce
tutti quanti a pensare che io possa essere un Padre (un prete) o un
gringo; e queste categorie di persone sono, per i bambini, le più
interessanti.
Non spaventatevi per
l'argomento che ora vi propongo, ma mi è capitato di partecipare ad
funerale in un pueblo chiamato Huallcor. Da queste parti la morte e'
vissuta come una fase della vita, il rapporto con il defunto e' molto
diverso che da noi. Famigliari e amici si trattengono con il defunto
chiacchierando e raccontando cose accadute in precedenza nella sua casa,
con i famigliari che offrono agli astanti cibo per tutti e tre i giorni
del velorio (si sta in compagnia del defunto giorno e notte). Ogni
famiglia mantiene infatti un animale di riserva per questa evenienza.
All'uscita della chiesa tutti i parenti e gli amici si pongono intorno
alla bara per la fotografia, come da noi si fa nel matrimonio.
Ricordo a tutti una breve
canzone che fa da filo conduttore (non è però l'unica) alla mia visita a
Huaraz:
"Voglio girare il mondo
.... anche con l'acqua negli occhi potrò vedere tutte le cose che in una
stanza all'asciutto io non potrei sognare mai"
Hasta luego, a la
próxima,
babu
Racconto di Natale
Angela
Cacciamani
C'era una volta un
Natale essenziale e...
Dalla finestra di un ufficio assicurativo,
osservo una strada conosciuta con le sue anonime anime a movimentarla
freneticamente.
Chiudo le persiane e chiudo pure il mio giorno fiscale,
scendo per strada nel frastuono dei passanti e sento la voglia di un
Natale diverso, già vissuto, un Natale "essenziale"!
Chiedo ad un
taxista di portarmi nei pressi di Campione, piccola borgata di case che
conosce di me l'infanzia.
Mi siedo sul sedile posteriore, guardo
indietro e dal lunotto dell'auto, abbandono allo sguardo questo caotico
centro urbano e come in un video che si spegne è sempre più lontana la
città.
Ad occhi chiusi vedo quello che voglio rivedere e la favola
incomincia...
Mi rivolgo all'uomo e gli dico di lasciarmi qui
all'inizio dello stradello e scendo.
Il cielo plumbeo promette tanto
candore e pace quanta io ne desidero da anni.
E' la vigilia di Natale e
sto tornando verso casa, la vecchia casa di campagna che ancora trattiene
come un sicuro scrigno, tra le sue sgretolate mura, i miei segreti di
bambina.
Un ritorno sereno, di solitudine, a toni bassi ma veritieri
come fiocchi di neve che cominciano a scendere su di me.
Avanzo e
penso... penso e m'inoltro in una notte amica che mi tiene la mano, che
seda le mie ansie e le ripongo in un angolo giù in fondo all'anima e
respiro meglio, mi pare!
Passi dopo passi vedo già che i miei piedi,
desiderosi d'arrivo, lasciano dietro loro impronte.
Intravedo la sagoma
del vecchio casolare, che come un sincero amico mi ha atteso per anni ma
dal camino non esce fumo.
Poche spanne ormai mi dividono dal passato e
poi avrò contatti familiari da consegnare al desiderio di rivivere un mio
tempo.
In un buio che avvolge, che impera, che riempie il cuore di
nostalgia tessuta con le mie speranze di donna, scorgo l'antico batacchio
di ferro battuto, mille volte sfiorato da piccola.
Mani fredde dentro i
guanti, che puntano a pugno quasi sfondando le tasche, hanno voglia di
impugnare la ruggine del tempo che si è impressa e vive su quel batacchio,
da sempre.
Prendo la chiave riposta dietro la siepe di biancospino e ho
voglia di riabbracciare queste stanze materne; ho voglia di approdare in
una marea di camere chiuse e lasciarmi andare ai vezzi dei ricordi.
Mi
sento accarezzata, coccolata e finalmente viva.
Voglio guardare il
fuori dal dentro.
Busso... ma nessuno apre ovviamente!
Metto la
chiave nella toppa, la giro e apro.
Entro, chiamo... e nessuno mi
risponde: è logico!
Sono sola e mi piango addosso una vecchia nenia di
memorie mentre cerco di accendere il fuoco nel focolare, lo animo con
cartocci di granoturco e legni di pioppo e tra le prime fiammelle che
sembrano diavoli di carta accesi, comincio a rivedere la mia
bell'infanzia.
... e nei contorni sfuocati della stanza scorgo
distinti, vecchi ricami ancora lì dimenticati, a ridosso del legno della
panca.
Trine sottili, quasi impalpabili, appese alle finestre del
soggiorno e poi... e poi ho la pretesa di rivedere quella piccola donna,
madre di mio padre e le sue piccole mani d'artista che leste e sicure
annodavano a treccia i miei biondi capelli e sfioravano amorevoli la mia
guancia sinistra.
Ed ora per risentire la sua presenza, amandola in
questa sua assenza, mi giro e rigiro all'anulare la fede di latta, sua
eredità.
Il fuoco diffonde già calore e alzando le sue lingue mi
permette di vedere meglio la stanza.
Ad un chiodo è appesa una
sporta di paglia, tempo fa ricolma di pane all'olio: ora quella vista
appaga la mia fame interiore.
Un cappello di rafia sbiadita, lavorata
all'uncinetto, è abbandonato sullo scranno impagliato e due zoccoli orlati
di malta, perfettamente allineati sono lì sotto, come appena
calzati.
Salgo le scale, una rampa di gradini di marmo che riconoscono
i miei passi e mi danno sicurezza d'accedere alle stanze in penombra ai
ricordi.
Mi guardo attorno: tutto a posto come allora.
Sul vecchio
comò, viole mammole secche davanti ad una cornice da venerare con
rispetto: dentro il ritratto di un soldato.
L'acquasantiera alla destra
del letto, asciugata da mille segni di croce disegnati davanti al viso
recitando poi le orazioni di sera.
La cassapanca tra le due finestre
che odora ancora di spigo vive con le vecchie lenzuola di lino, sonnolenze
rinchiuse bene da mani che non toccano più.
Scosto la porta del granaio
che cigola all'ascolto e come una bell'immagine grafica ai miei occhi
appaiono: melograni, uva e noci.
Questa sacra provvista, profuma come
d'Eucaristie desiderate e il Fedele Guardiano del tempo sta lì da anni e
protegge il mio cibo di cristiano.
Tutto proprio come nel
"59"!
Tutto incredibilmente custodito... e mi sembra un'estate fa, ed
eccomi invece invecchiata.
Irrimediabilmente vive su di me e dentro me
lo spessore sfacciato del tempo onesto e non so quasi riconoscermi dentro
questo specchio che mi ridona un'immagine severa, assorta, tra mille rughe
che solcano un giro di vita racchiuso in questi occhi
stanchi.
Ridiscendo le scale a cauti passi e lentamente, dalla madia
prendo la farina bianca, dal pozzo l'acqua e impasto il tutto per fare il
pane.
Mentre lo modello mi scorre piano davanti agli occhi il resoconto
di un'intera esistenza vissuta di "bastardo" progresso ma stasera
null'altro metterò sul tavolo che "l'essenziale": solo pane, melograni,
uva, noci, acquasanta e un piccolo Gesù di gesso che ho conservato nel
bicchiere delle candele riposto sulla prima mensola della credenza.
E'
questo un presepe essenziale, no!
Guardo fuori, questa notte imbiancata
setaccia il vero dal falso, il superfluo dal necessario.
Separa le
stupide ambizioni da semplici desideri interiori.
Appoggio i gomiti sul
davanzale e abbandono il mento su due mani decise a sorreggerlo.
Punto
gli occhi nell'infinito di questa notte innevata e da lontano un chiarore
di torcia avanza e una musica di fisarmonica mi pare di udire: sono quelli
Santa Notte, portano il "Buon Messaggio".
Allora anche quest'anno avrò
un Natale?
Mi sento quasi euforica, esco, li guardo emozionata questi
musicanti e ricordo che da bambina piangevo dietro la sicurezza della
piccola ed esile persona di mia nonna.
Ricordo di aver avuto paura di
loro, che poi entravano in casa a bere un bicchiere di vino ed ero io,
essendo la più giovane, che dovevo allungare il soldino per la
beneficenza.
Ora invece la loro presenza mi rassicura, mi rincuora e mi
ridonano un po' di fede assopita i loro canti natalizi e li seguo per
strada.
Assieme proseguiamo verso la piccola Chiesetta di Campione,
madre della mia migliore religiosità.
Qui nulla è cambiato tutto
traspira e trasuda di passato molto lontano ma così presente che mi sembra
palpabile.
La Chiesetta è gremita, percepisco affetto ma non riconosco
più nessuno di questa gente.
Conosco molto bene invece Quel Gesù di
gesso davanti all'Altare, ... mi basta!
Quante poesie recitate davanti
a Lui ai tempi della scuola e poi anni e anni di soli ricordi e silenzi
tra noi.
In punta di piedi esco, c'è una strada che più non si vede
tanta la neve è scesa.
Non scorgo più i suoi margini e tutto sembra
valle.
I passi diventano faticosi ma il cuore è felice e ha fretta di
rincasare.
Mi metto sotto la luce di un lampione e dal cellulare invio
uno speranzoso messaggio ai familiari: "Raggiungetemi alla vecchia
cascina, il pane sta cocendo, Buon Natale!".