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Diario di strada di un viandante “sui generis”
(2)

Stefano Baù

 

Huaraz (Perù) Mayo 2001

 

Il viaggio continua "girando paesi e città”, come in una recente canzone anni ‘60, e le scoperte sono state molte.

Una calda mattinata di sabato salendo in compagnia di amici (Fabio e David) in un pueblo (piccolo villaggio) sulle montagne chiamato Macascha, abbiamo incontrato sulla nostra stessa strada un bambino di nome Carlos, sceso fino in città a comprare un pugno di farina per il pranzo della sua famiglia ed un scatola di fiammiferi. Erano circa le 9:00 di mattina ed il bambino stava gia´ rientrando a casa e la prima domanda che ci siamo fatti: chissà a che ora era partito da casa. Provate ad immaginare quantI anni aveva: ben 3 anni !! A quella età girovaga già per le montagne da solo e con la responsabilitàdel cibo per la famiglia!! Alla faccia della iper protezione familiare che c'e' lì da noi. L'abbiamo accompagnato fino in prossimità della sua casa, ci ha salutato a lungo e non avendo alcuna caramella gli ho allungato una piccola moneta di riconoscenza per averci fatto da guida su quelle montagne da lui conosciute come le sue tasche. La mia visita è proseguita qualche giorno dopo in altri 3 pueblos (Jauna, Santa Rosa e Ututupampa) in compagnia di Juan, l'infermiere della Parrocchia incaricato della “Pastoral para la salud rural" (pastorale per la salute rurale) ed ho fatto una scoperta molto interessante: la medicina che in occidente viene chiamata alternativa in quei pueblos e' tuttora la medicina ufficiale. La cura con le piante ed altri metodi naturali e' la cosiddetta medicina di base. Pensate che ho assistito alla quasi completa guarigione di una artrite utilizzando la urinologia (medicina alternativa la cui base principale e'...indovinato?). Con estrema curiosità ho scoperto che questo metodo naturale è utilizzato da secoli, appare efficace e sicuramente meno costoso delle nostre medicine chimiche. Questa relazione continua (basata ovviamente sul rapporto personale, visto che il telefono non esiste, e nemmeno il cellulare, capito voi patiti del telefono senza fili ?) tra l'infermiere della Parrocchia ed i responsabili della salute nelle oltre 20 comunità montane e' estremamente interessante, consentendo un aggiornamento continuo delle singole terapie.
Al ritorno ci e' capitato di incontrare una ragazza che era pronta a partorire, dopo vicende lunghe da spiegare, siamo riusciti a portarla in ospedale, ricoverata alle 13.20 circa, ha partorito (abbiamo saputo il giorno dopo) alle ore 13.40; inutile spiegarvi l'immensa gioia di questa nuova vita che possiamo dire ci ha trovati casualmente coinvolti. La bimba di nome Isabel pesava alla nascita circa 3,8 kg e vi confesso che era molto carina. La cosa negativa in questa storia e' stata la presenza maschile o meglio la sua totale assenza, dato che la ragazza e' stata abbandonato dal "suo uomo" segno di un destino che in Perù è all'ordine del giorno.

 
Evviva è nato!

Altra esperienza interessante e' quella capitata in una scuola pubblica primaria di un pueblo chiamato Tayapampa. Anche qui il rapporto Parrocchia/scuola e' vissuto in maniera considerevole; il rapporto di animazione e' il pretesto per entrare in sintonia con i bambini e proporre una pianta medicinale di nome Paico, tanto utile al loro intestino quanto al nostro. Ebbene sì anch' io, insieme con l'infermiere e tutte le professoresse, (tanto per dare l'esempio) abbiamo dovuto ingurgitare la medicina. Il mio intestino ha ringraziato a modo suo il giorno successivo. Con i bambini di questa scuola ho instaurato una bella e simpatica relazione, la mia carnagione chiara e la barba (e' dal mio arrivo in Perù che non l'ho tagliata) induce tutti quanti a pensare che io possa essere un Padre (un prete) o un gringo; e queste categorie di persone sono, per i bambini, le più interessanti.

Non spaventatevi per l'argomento che ora vi propongo, ma mi è capitato di partecipare ad funerale in un pueblo chiamato Huallcor. Da queste parti la morte e' vissuta come una fase della vita, il rapporto con il defunto e' molto diverso che da noi. Famigliari e amici si trattengono con il defunto chiacchierando e raccontando cose accadute in precedenza nella sua casa, con i famigliari che offrono agli astanti cibo per tutti e tre i giorni del velorio (si sta in compagnia del defunto giorno e notte). Ogni famiglia mantiene infatti un animale di riserva per questa evenienza. All'uscita della chiesa tutti i parenti e gli amici si pongono intorno alla bara per la fotografia, come da noi si fa nel matrimonio.

Ricordo a tutti una breve canzone che fa da filo conduttore (non è però l'unica) alla mia visita a Huaraz:

"Voglio girare il mondo .... anche con l'acqua negli occhi potrò vedere tutte le cose che in una stanza all'asciutto io non potrei sognare mai"

Hasta luego, a la próxima,

babu

 

 

 Racconto di Natale    

 Angela Cacciamani


C'era una volta un Natale essenziale e...
Dalla finestra di un ufficio assicurativo, osservo una strada conosciuta con le sue anonime anime a movimentarla freneticamente.
Chiudo le persiane e chiudo pure il mio giorno fiscale, scendo per strada nel frastuono dei passanti e sento la voglia di un Natale diverso, già vissuto, un Natale "essenziale"!
Chiedo ad un taxista di portarmi nei pressi di Campione, piccola borgata di case che conosce di me l'infanzia.
Mi siedo sul sedile posteriore, guardo indietro e dal lunotto dell'auto, abbandono allo sguardo questo caotico centro urbano e come in un video che si spegne è sempre più lontana la città.
Ad occhi chiusi vedo quello che voglio rivedere e la favola incomincia...
Mi rivolgo all'uomo e gli dico di lasciarmi qui all'inizio dello stradello e scendo.
Il cielo plumbeo promette tanto candore e pace quanta io ne desidero da anni.
E' la vigilia di Natale e sto tornando verso casa, la vecchia casa di campagna che ancora trattiene come un sicuro scrigno, tra le sue sgretolate mura, i miei segreti di bambina.
Un ritorno sereno, di solitudine, a toni bassi ma veritieri come fiocchi di neve che cominciano a scendere su di me.
Avanzo e penso... penso e m'inoltro in una notte amica che mi tiene la mano, che seda le mie ansie e le ripongo in un angolo giù in fondo all'anima e respiro meglio, mi pare!
Passi dopo passi vedo già che i miei piedi, desiderosi d'arrivo, lasciano dietro loro impronte.
Intravedo la sagoma del vecchio casolare, che come un sincero amico mi ha atteso per anni ma dal camino non esce fumo.
Poche spanne ormai mi dividono dal passato e poi avrò contatti familiari da consegnare al desiderio di rivivere un mio tempo.
In un buio che avvolge, che impera, che riempie il cuore di nostalgia tessuta con le mie speranze di donna, scorgo l'antico batacchio di ferro battuto, mille volte sfiorato da piccola.
Mani fredde dentro i guanti, che puntano a pugno quasi sfondando le tasche, hanno voglia di impugnare la ruggine del tempo che si è impressa e vive su quel batacchio, da sempre.
Prendo la chiave riposta dietro la siepe di biancospino e ho voglia di riabbracciare queste stanze materne; ho voglia di approdare in una marea di camere chiuse e lasciarmi andare ai vezzi dei ricordi.
Mi sento accarezzata, coccolata e finalmente viva.
Voglio guardare il fuori dal dentro.
Busso... ma nessuno apre ovviamente!
Metto la chiave nella toppa, la giro e apro.
Entro, chiamo... e nessuno mi risponde: è logico!
Sono sola e mi piango addosso una vecchia nenia di memorie mentre cerco di accendere il fuoco nel focolare, lo animo con cartocci di granoturco e legni di pioppo e tra le prime fiammelle che sembrano diavoli di carta accesi, comincio a rivedere la mia bell'infanzia.
... e nei contorni sfuocati della stanza scorgo distinti, vecchi ricami ancora lì dimenticati, a ridosso del legno della panca.
Trine sottili, quasi impalpabili, appese alle finestre del soggiorno e poi... e poi ho la pretesa di rivedere quella piccola donna, madre di mio padre e le sue piccole mani d'artista che leste e sicure annodavano a treccia i miei biondi capelli e sfioravano amorevoli la mia guancia sinistra.
Ed ora per risentire la sua presenza, amandola in questa sua assenza, mi giro e rigiro all'anulare la fede di latta, sua eredità.
Il fuoco diffonde già calore e alzando le sue lingue mi permette di vedere meglio la stanza.

Ad un chiodo è appesa una sporta di paglia, tempo fa ricolma di pane all'olio: ora quella vista appaga la mia fame interiore.
Un cappello di rafia sbiadita, lavorata all'uncinetto, è abbandonato sullo scranno impagliato e due zoccoli orlati di malta, perfettamente allineati sono lì sotto, come appena calzati.
Salgo le scale, una rampa di gradini di marmo che riconoscono i miei passi e mi danno sicurezza d'accedere alle stanze in penombra ai ricordi.
Mi guardo attorno: tutto a posto come allora.
Sul vecchio comò, viole mammole secche davanti ad una cornice da venerare con rispetto: dentro il ritratto di un soldato.
L'acquasantiera alla destra del letto, asciugata da mille segni di croce disegnati davanti al viso recitando poi le orazioni di sera.
La cassapanca tra le due finestre che odora ancora di spigo vive con le vecchie lenzuola di lino, sonnolenze rinchiuse bene da mani che non toccano più.
Scosto la porta del granaio che cigola all'ascolto e come una bell'immagine grafica ai miei occhi appaiono: melograni, uva e noci.
Questa sacra provvista, profuma come d'Eucaristie desiderate e il Fedele Guardiano del tempo sta lì da anni e protegge il mio cibo di cristiano.
Tutto proprio come nel "59"!
Tutto incredibilmente custodito... e mi sembra un'estate fa, ed eccomi invece invecchiata.
Irrimediabilmente vive su di me e dentro me lo spessore sfacciato del tempo onesto e non so quasi riconoscermi dentro questo specchio che mi ridona un'immagine severa, assorta, tra mille rughe che solcano un giro di vita racchiuso in questi occhi stanchi.
Ridiscendo le scale a cauti passi e lentamente, dalla madia prendo la farina bianca, dal pozzo l'acqua e impasto il tutto per fare il pane.
Mentre lo modello mi scorre piano davanti agli occhi il resoconto di un'intera esistenza vissuta di "bastardo" progresso ma stasera null'altro metterò sul tavolo che "l'essenziale": solo pane, melograni, uva, noci, acquasanta e un piccolo Gesù di gesso che ho conservato nel bicchiere delle candele riposto sulla prima mensola della credenza.
E' questo un presepe essenziale, no!
Guardo fuori, questa notte imbiancata setaccia il vero dal falso, il superfluo dal necessario.
Separa le stupide ambizioni da semplici desideri interiori.
Appoggio i gomiti sul davanzale e abbandono il mento su due mani decise a sorreggerlo.
Punto gli occhi nell'infinito di questa notte innevata e da lontano un chiarore di torcia avanza e una musica di fisarmonica mi pare di udire: sono quelli Santa Notte, portano il "Buon Messaggio".
Allora anche quest'anno avrò un Natale?
Mi sento quasi euforica, esco, li guardo emozionata questi musicanti e ricordo che da bambina piangevo dietro la sicurezza della piccola ed esile persona di mia nonna.
Ricordo di aver avuto paura di loro, che poi entravano in casa a bere un bicchiere di vino ed ero io, essendo la più giovane, che dovevo allungare il soldino per la beneficenza.
Ora invece la loro presenza mi rassicura, mi rincuora e mi ridonano un po' di fede assopita i loro canti natalizi e li seguo per strada.
Assieme proseguiamo verso la piccola Chiesetta di Campione, madre della mia migliore religiosità.
Qui nulla è cambiato tutto traspira e trasuda di passato molto lontano ma così presente che mi sembra palpabile.
La Chiesetta è gremita, percepisco affetto ma non riconosco più nessuno di questa gente.
Conosco molto bene invece Quel Gesù di gesso davanti all'Altare, ... mi basta!
Quante poesie recitate davanti a Lui ai tempi della scuola e poi anni e anni di soli ricordi e silenzi tra noi.
In punta di piedi esco, c'è una strada che più non si vede tanta la neve è scesa.
Non scorgo più i suoi margini e tutto sembra valle.
I passi diventano faticosi ma il cuore è felice e ha fretta di rincasare.
Mi metto sotto la luce di un lampione e dal cellulare invio uno speranzoso messaggio ai familiari: "Raggiungetemi alla vecchia cascina, il pane sta cocendo, Buon Natale!".