(i frer)
Igini o Bottani
" a chi ha vissuto in un certo mondo l’impareggiabile possibilità di riassaporare colori, sensazioni e suoni lontani; e a chi non l’ha vissuto dar modo di incontrare e di capire , e , perché no, amare, figure che sono parte della nostra storia, quella vera, quella di tutti i giorni".Nei miei precedenti articoli affermavo non senza un certo orgoglio di aver goduto del privilegio di essere nato e di aver vissuto tutta la fanciullezza e giovinezza al Serraglio, mitico borgo alla periferia di Buscoldo, abitato da straordinarie persone di profonda umanità e ricco di favolose botteghe artigiane e di impareggiabili personaggi che le frequentavano e dove anch'io mi ritrovavo a meraviglia, assaporando una cultura ed un modo di vivere semplice, austero, sobrio e soprattutto condiviso da tutti. Ebbene, devo ora confessare che questi sentimenti, che queste sensazioni non le ho mai provate per le botteghe del fabbro - maniscalco. Anzi, sia che passassi a piedi o in bicicletta, mi tenevo sul lato opposto alla bottega del fabbro ferraio, che mi incuteva un senso di paura e di mistero. A quei tempi non vi era borgata che non avesse il suo fabbro, quasi sempre la sua bottega era vicina a quella del falegname: le loro attività erano in simbiosi. La professione si tramandava di padre in figlio e ciò per molte generazioni. Nacque così la tradizione di accompagnare il nome di battesimo di quegli artigiani con l'aggiunta del loro mestiere: Mariu frer, Luis frer, Ricu frer, Ginu frer e così via dicendo. Il fabbro esaltava il suo estro creativo e la sua arte con produzioni in ferro battuto quali: cerchi ed altre attrezzature per carri, inferriate "a botte", porte interne e portoni finemente lavorati e le diffusissime code di carri agricoli, raffiguranti serpenti, bisce a due teste, lucertole ed altre figure zoomorfe: si trattava di autentiche opere d'arte! Spesso il fabbro vestiva anche i panni del maniscalco e del riparatore tuttofare. A lui ricorrevano perciò le "rasdure" per la riparazione di pentole, di "stagnadi", di scaldine e quant'altro di pertinenza della casa. In questi casi l'artigiano ci rimetteva un tantino del suo prestigio professionale, ma in compenso ci guadagnava. La bottega del fabbro- maniscalco era di solito uno stanzone nero di fumo che incuteva un certo timore in noi bambini; immaginavo fosse così l'ingresso dell'Inferno di cui ci parlava la maestra di catechismo e, qualche anno dopo, paragonavo l'officina all'antro di Vulcano intento a forgiare le armi per il "Pelìde Achille". Sul braciere della fucina la fiamma ondeggiava con lingue di fuoco gialle, rosse ,violette. Sulle pareti, appese a grossi chiodi, robuste tenaglie dalle ganasce lucenti, pinze enormi, martelli di varie dimensioni e tanti ferri di cavallo che, a contrasto col nerume dell'ambiente, sembravano d'argento. I colpi sonori, a cadenze ritmate, del martello sull'incudine, si diffondevano in tutto il borgo: percuotevano e rimbalzavano tra i muri delle case con un timbro assordante che incuteva timore. L'operazione di ferrare i cavalli era sicuramente quella che destava più curiosità in noi bambini. All'interno il maniscalco lavorava alla fucina, teneva saldamente il ferro sulla fiamma finché diventava rosso come la brace e via via incandescente. Lo portava allora sull'incudine e qui, sotto i colpi sonori e possenti del martello, tra mille scintille il ferro assumeva la forma adatta allo zoccolo del cavallo. Dopo aver limato l'unghia dove era più irregolare, passava il ferro rovente allo zoccolo fissandolo con lunghi chiodi cuneiformi. Si sentiva lo sfrigolio, accompagnato da una nube biancastra che avvolgeva gli addetti ai lavori ed un odore pungente invadeva la strada. A lavoro ultimato il maniscalco assestava una manata sul posteriore del cavallo e poi…sotto un altro! In assenza di clienti "al frer", con calcolo previdenziale, preparava ferri per cavalli, asini e muli di varie misure, pronti per l'uso, che venivano appesi (a mo' di trofei) al muro della bottega per essere scelti al momento opportuno. Al sopraggiungere del cliente era sufficiente un'occhiata allo zoccolo dell'animale per stabilire la scelta su misura. Ferro, chiodi di varie forme e dimensioni, carbone, carbonella ed il preziosissimo "carburo" (che serviva per la saldatura dei metalli ma…soprattutto per fare esplodere i barattoli e far divertire noi ragazzi in pericolosi, ma coinvolgenti esperimenti scientifici) venivano acquistati a Mantova, in genere dalla ditta Posio, presso i magazzini dell'Azienda del Gas, dalla ditta Celestri Belfiore) e da altri fornitori e trasportati dai "corrieri" Chiari Marco detto Marchin, Bigiu dal Puc, Zamboni Attilio detto Modena. Nel ricordare i più popolari fabbri- maniscalchi buscoldesi non si può non partire da Valli Attilio, detto "il nobile" per la sua orgogliosa appartenenza alla categoria dei maniscalchi (precisava spesso di essersi "diplomato in mascalcia presso l'Istituto Tecnico Ponzoni Cimino di Cremona").Suo allievo fu per vari anni Mortara Giuseppe.Vanno ricordati inoltre Lanza Guido alla Galvana con i dipendenti Vernizzi Ermes e Gelati Ernesto ed il figlio Leano, Galvani Arrigo ai Ronchi, sempre ai Ronchi Mazzocchi Adone coi figli Giusto (Fumìn) e Liano; Bassani Ettore ed il figlio Mario al Serraglio, Tei Desiderio ai Casotti prima ed al Serraglio poi, Fornaciari Gino che prima a Scorzarolo poi nel nostro paese si era specializzato nella costruzione di favolosi aratri ed il suo allievo Saccenti Dacirio. Non pochi erano i buscoldesi che gravitavano su paesi limitrofi e ricorrevano all'arte dei fabbri locali: i più noti erano Malvezzi Riccardo con i figli Franco e Bruno a San Lorenzo, molto noto anche Boari Archimede di Montanara. Vanno qui citati anche Mazzocchi Adrasto coi figli Mario e Ottorino ed i fratelli Telemaco e Rosolino Salardi che si specializzarono nell'arte di realizzare pozzi ed impianti idrico sanitari e di riscaldamento.
Nell'articolo precedente dedicato ai Falegnami ( i marangun) per un fortuito errore tecnico nella stampa non è apparso un valente maestro falegname di Buscoldo Montanaro Elvino, dipendente prima di Panini Aldo (Boris), poi di Galli Nearco ed in seguito maestro artigiano. |